La polemica contro l'indeterminatezza e la poeticità nella descrizione della natura è antica. Aristotele accusava i filosofi, ed in particolare i seguaci di Platone (i quali facevano molto uso di metafore, i cosiddetti "miti" per spiegare la natura), di "parlare" a vuoto, di ricorrere al linguaggio metaforico, che appartiene al genere poetico, piuttosto che a quello scientifico.
Aristotele però ammette nel discorso scientifico un particolare tipo di metafora: la metafora per analogia (o per somiglianza). Così per esempio le branchie dei pesci sono come i polmoni per i mammiferi.
Metafora vuol dire "trasferimento". In Grecia sui camion per i traslochi c'è scritto "Metaforai". Il procedimento metaforico permette di esplorare un nuovo campo di conoscenza usando come mappa un campo di conoscenza noto, familiare. E' quindi una sfida all'ignoto, o per dirla con meno enfasi, una ipotesi di lavoro. La notissima metafora per analogia riportata in tutti i manuali di chimica biologica, proposta nel 1894 dal biochimico tedesco Emil Fischer:
substrato : enzima = chiave : serratura
ha tre pregi:
– propone in fatti il modello della complementarietà stereochimica tra enzima e substrato, che spiega bene la specifictà enzinatica
– ha contemporaneamente istituito un programma di ricerca che solo di recente con l'aplicazione dei metodi cristallografici avanzati ha permesso attraverso l'analisi della struttura terziaria di una proteina di confermare l'ipotesi di partenza
– il terzo pregio della metafora di Fischer sta, infine, nella sua pertinenza e vivacità come diceva Aristotele. L'immagine della chiave e della serratura è così familiare, così evidente che l'analogia è subito percepita e risulta estremamente efficace dal punto di vista didattico
E' facile notare che la costruzione e l’invenzione di un modello scientifico sono basati su forme di pensiero analogico. Secondo taluni studiosi non sarebbe possibile il pensiero senza il ricorso alla metafora e alla analogia.
Il linguaggio è pieno di metafore: es. la testa del chiodo, il braccio di mare, la gamba di un tavolo, una mano di vernice, la bocca della verità, l’occhio clinico, ecc.
Il nostro linguaggio è così intriso di metafore che non ce ne rendiamo conto ed è verosimile che non possa esistere alcuna forma di comprensione senza una metafora e che anzi comprendere significa utilizzare la metafora adatta.
Ogniquavolta un individuo si trova di fronte ad una situazione nuova cerca dui costruire la metafora più opportuna per ricondurre tale situazione ad un contesto più familiare.
La metafora svolge pertanto un ruolo essenziale nello stabilire connessioni tra linguaggio scientifico ed il mondo.
L’analogia è, invece, una metafora con connotati più restrittivi, tale da indicare une vera e propria somiglianza tra due cose. L’analogia viene considerata il fondamento del ragionamento clinico attraverso il quale il medico richiama di volta in volta alla memoria casi analoghi osservati in precedenza in modo da poter prevedere le proprie decisioni diagnostico-terapeutiche (case based reasoning).
La metafora ha invece un significato più ampio.
Comunque utilizzerò per semplicità in modo interscambiabile i termini analogia e metafora.
Il modello fondamentale di ragionamento analogico è il seguente. Quando un ricercatore si confronta con un nuovo problema (problema target) e non riesce a risolverlo cerca di richiamare alla memoria un problema già risolto (problem source) che assomiglia a quello attuale. Sul piano logico il ragionamento analogico-metaforico può essere schematizzato nel modo seguente:
Il Fenomeno meno familiare (F1) rassomiglia al fenomeno più familiare (F)
F è caratterizzato da A
Ergo: F1 è forse caratterizzato da A
La metafora-analogia non conduce ad una dimostrazione, bensì alla formulazione di una sorta di ipotesi scientifica sulla quale vale la pena lavorare. Il concetto cardine del pensiero analogico-metaforico è la SOMIGLIANZA.
Un analogia decisiva per lo sviluppo della medicina moderna è stata quella istituita dal chirurgo Lister tra la suppurazione delle ferite e le fermentazione, analogia che può essere così formalizzata:
La putrefazione dei tessuti rassomiglia alla fermentazione
La fermentazione è causata da germi
Ergo: la putrefazione dei tessuti è forse causata da germi
Questa analiogia ha condotto ad una serie di esperimenti concreti che hanno validato la metafora ed hanno cambiato il corso della storia medica, trasformando la metafora in un modello scientifico (o paradigma scientifico per dirlo alla Kuhn)
Ma quante volte accade che il ragionamento metaforico porti a congetture errate?
E proprio questi errori devono far riflettere sui rischi del ragionamento analogico, in quanto le somiglianze possono contenere come vedremo degli aspetti antropomorfi che non vengono neppure percepiti da coloro che le usano.
La metafora è talvolta estremamente pericolosa perché riportando il non familiare al familiare, può condurre a gravi errori.
Non sempre le metafore ‘per analogia’ sono cosi lucidamente logiche. Il discorso scientifico è a volte più complesso, ambiguo, allusivo, di quanto gli stessi scienziati pensino. Nel discorso scientifico, le metafore possono avere un ruolo «creativo» per far intuire e immaginare cose non dette o, addirittura, non completamente comprese. Ma possono anche portare fuori strada il destinatario, che le interpreta in modo non previsto dal proponente. Si è perciò sempre sentita l'esigenza di creare un nuovo linguaggio per indagare la natura e fare scienza, un linguaggio che permettesse un certo grado di astrazione così da non contenere allusioni, significati impliciti, come il linguaggio naturale. Tipico esempio ne è l’idea di Leibniz di un’ars combinatoria, in cui le essenze delle cose, definite da numeri, potessero essere combinate secondo tutte le relazioni possibili, anch’esse definite attraverso rapporti numerici, in modo che ogni ragionamento, che consiste appunto in una combinazione di concetti, si sarebbe trasformato in un calcolo. Leibniz ha cosi tanta fiducia nel suo progetto da chiedere una rendita di 1200 scudi in quanto la sua «invenzione contiene l’impiego della ragione intera, un giudice per le controversie, un interprete delle nozioni, una bilancia per le probabilità, una bussola che ci guidera per l’oceano delle esperienze, un inventario delle cose, una tavola dei pensieri, un microscopio per scrutinare le cose presenti, un telescopio per indovinare le lontane, un calcolo generale, una magia innocente, una cabala non chimerica, una scrittura che ciascuno leggera nella propria lingua; e persino una lingua che si potra apprendere in poche settimane, e che avrebbe corso in tutto il mondo. E che condurrebbe la vera religione ovunque essa passasse». Il progetto di Leibniz non ebbe successo, anche se poteva prefigurare in una certa misura alcuni aspetti dell’informatica e dell’uso dei calcolatori, e tuttora il discorso scientifico si vale assai spesso di procedimenti del linguaggio naturale e quindi ragionamenti metaforici-analogici.
Prenderò in considerazione le principali classi di metafore, analizzando le loro radici storiche, il loro uso nella pratica quotidiana ed il loro ruolo nella costruzione teoria della medicina.
- Metafora etica della colpa e della espiazione
- Metafora etica della casualità
- Metafora etica della normalità
- Metafora giudiziaria
- Metafora militare
- Metafora meccanica
- Metafora teleologica
Quindi prenderemo in considerazioni il pensiero analogico-metaforico in odontoiatria.
Metafora etica
Il tema delle pestilenze e della malattie epidemiche come inviate dalla divinità a causa di una qualche trasgressione da parte di uno o più individui è attestato in tutte le culture. La religione giudaico-cristiana ha acuito gli effetti di questo atteggiamento mentale per cui le epidemie sono causate da una colpa collettiva mentre le malattie individuali da colpe individuali o familiari. Così è divenuta diffusa l’idea che la colpa debba essere espiata affinché la salute possa tornare. I riti espiatori comportano sacrifici alla divinità, pellegrinaggi, ex-voto, assunzione di posizione disgustose, iniezioni dolorose, diete draconiane, interventi chirurgici dolorosi, rinunce a qualche piacere della vita e così via.
Ma fin qui siamo nel conteso della antropologia culturale. Vi è tuttavia un livello più profondo in cui la metafora della colpa viene utilizzata in medicina.
Il concetto di causa è esso stesso strettamente collegato a quello di colpa: αιτιον, da cui il concetto di eziologia , significa anche colpa, e φαρμακοσ significa oltre che farmaco, veleno anche “capro espiatorio”. Inoltre si usa dire che il paziente è stato “colpito” da ictus. La colpa è anche rappresentata come “macchia” ed è interessante che il termine di “infectio” significa proprio la tintura delle stoffe.
Questa metafora si annida anche in alcune concezioni molto diffuse, come ad esempio quella di attribuire la malattia ad un comportamento “trasgressivo” di norme morali e sociali o a comportamenti sconvenienti (fumo, eccessiva alimentazione, attività sessuali) e lo stato di salute a comportamenti "corretti" come lo sport, la vita “sana”, la “sana” alimentazione. Vale la pene ricordare che il termine “corretto” si riferisce al concetto di rettitudine, a sua volta collegata ad una metafora geometrica. Si tratta di una metafora che affonda le proprie radici nella profondità dei nostri meccanismi mentali inconsci e ancestrali.
Ma se la malattia è legata alla colpa, allora è naturale che uno dei modi per evitarla o per guarire consiste o nel vivere una vita senza colpe oppure nell’espiare le colpe commesse.
Basi pensare che per molti anni è stata asserita un relazione tra tubercolosi e alcool, in quanto molti fattori di rischio, come ad esempio il sovrappeso ed il fumo posseggono connotati psicologici del capro espiatorio.
In generale la morale giudaico-cristiana, di cui le nostre menti ed il nostro linguaggio sono impregnati, ha diffuso l’idea che tra le possibile cause di malattia ci siano tutti quei comportamenti che generano “piacere”: soprattutto alimentari e sessuali. Ne deriva che la guarigione passa attraverso rituali di espiazione che sono essenzialmente di due tipi: proibizione e prescrizione (divieti di mangiare, limitazioni dietetiche specifiche, divieti sul fumo e sul consumo di alcoolici, ecc.). Più in generale tutte le concezioni fondate sul concetto “stile di vita” sono più o meno esplicitamente basate su una metafora etica.
Metafora etica e casualità
L’utilizzazione della casualità come strumento principale per entrare in contatto con le divinità o più in generale con il soprannaturale ha caratterizzato la storia dell’umanità fin dai primordi.
Questa concezione divina della casualità è legata al fascino e alla meraviglia che i fenomeni casuali (uragani, epidemie, siccità ecc.)esercitano nella nostra mente. Tali fenomeni capricciosi, aleatori, imprevedibili suscitano nondimeno un intenso bisogno di una spiegazione razionale. Così’ un evento casuale può essere considerato un segno del destino, un messaggio divino e così via. Il collegamento tra eventi aleatori ed il soprannaturale è così pregnante che allo loro interpretazione vengono deputati individui con poteri speciali (aruspici, sacerdoti, sibille, cartomanti, i quali si avvalgono di dadi, carte, gocce d’olio nell’acqua, ecc.).
Così il concetto di causalità è andato assumendo negli anni il senso della giustizia divina. Ad esempio nella assegnazione di un paziente ad uno dei gruppi di uno studio clinico randomizzato sulla base del risultato di un lancio di una monetina, si attribuisce implicitamente alla monetina un comportamento “equo” in quanto non è preferita alcuna faccia. L’idea che la randomizzazione conduca alla formazione di gruppi “bilanciati” per innumerevoli fattori sconosciuti è proprio basata sulla metafora della bilancia, che è appunto il simbolo della giustizia. Vi è dunque una certa etica nella casualità. Ancora oggi ad esempio le partite di calcio cominciano con il lancio della monetina. Il termine stesso di probabilità, concetto chiave per comprendere i fenomeni casuali e quindi della scienza moderna, deriva dal latino “probus“, cioè onesto, degno di fede, autorevole, saggio. Una opinione era ritenuta probabile quando, pur non essendo dimostrata e certa, veniva asserita da una persona degna a di fede, autorevole. Tipicamente erano probabili alcune asserzioni fatte dagli esponenti di una chiesa. La locuzione “medicus probabilis “ indicava un medico degno di fede.
In questo contesto si inserisce il concetto di “credential clubbing”: come una metafora etica possa bloccare l’affermarsi di modelli interpretativi migliori.
Metafora etica e normalità
Indubbiamente la metafora etica di gran lunga più importante in medicina è quello della normalità. In nessun altra disciplina scientifica questa metafora assume una qualche rilevanza, mentre si può affermare che l’intera medicina è fondata su questo concetto e che lo stesso stato di malattia è concepito come una deviazione della normalità.
Il concetto di normale è altresì connesso a quello di “regolare”, che a sua volta rimanda a comportamenti secondo le regole, e quello di “equilibrato”. E’ “normale” ciò che non è estremo, eccessivo o squilibrato. E’ normale ciò che è retto, regolare, equilibrato, conforme alla regola o alle norme.
Da un punto di vista semantico, il termine normalità deriva da “norma”,. Che è essenzialmente un concetto morale e giuridico. La norma morale è originariamente una prescrizione religiosa di un atteggiamento nei confronti della divinità e diviene norma sociale o giuridica in relazione ai comportamenti manifesti.
Esistono norme di tipo prescrittivo, devi comportarti così, e di tipo omissivo, non devi comportarti così. In una si prescrive qualcosa di spiacevole, nell’altro si impedisce qualcosa di piacevole! In ambedue i casi si tratta di una sacrificio! E’ difficile dubitare che la gran parte della attività del medico sia catalogabile in uno di questi due tipi di norme.
Il concetto di norma è altresì legato a quello di regola a tal punto da essere termini interscambiabili. Anormale è irregolare. Una della ragioni per le quali la irregolarità viene considerata come un fatto negativo deriva dalla implicita relazione con la anormalità.
Normale significa anche “conforme alla norma”, cioè conforme a quei comportamenti che vengono adottati per ragioni storiche, geografiche dalla maggioranza della popolazione (modo di vestire, di parlare, ecc.). Tra queste rientrano anche le linee guida di associazioni mediche, ministeriali, ecc. I medici che non si attengono a queste linee guida sono “anormali” e perciò “colpevoli”
È impressionante come i clinici utilizzino frequentemente la dicotomia corretto-scorretto (una corretta condotta terepautica, una corretta manovra semeiologic a, un corretto rapporto medico-paziente, ecc.)
Queste locuzioni posso essere interpretate in diversi modi. Quello più usuale sembra rimandare ad un ragionamento del tipo “esiste una conoscenza scientifica “certa”, relativa ad esempio al trattamento di una malattia, ergo tutti devono adeguarsi a tale conoscenza. Chi non si adegua ha un comportamento scorretto”. E ciò sarebbe ragionevole se non fosse che la premessa, cioè che esiste una conoscenza certa, è in generale falsa! A volta alla certezza viene sostituita un qualche autorità (il probus): il maestro, l’organizzazione sanitaria mondiale, il ministero, un articolo scientifico, le linee guida, ecc.).
Così gli insuccessi terapeutici vengono spiegati sulla base della non osservanza di un procedimento corretto da parte del medico o da parte del paziente. Così i sensi di colpa del medico fanno sì che egli aderisca a queste pseudocertezze sempre meglio e che egli rimproveri il paziente per una eventuale scarsa adesione.
Una ragione del persistere di questi atteggiamenti moralistici più o meno impliciti è che la medicina si è sviluppata quasi del tutto in ambienti religiosi: la cura dei malati è stata sempre uno dei cavalli di battaglia della religione e fino a non molto tempo fa il personale addetto alla cura dei malati negli ospedali pubblici era quasi esclusivamente costituito da personale religioso.
E’ pertanto lecito ritenere che concetti tipici della sfera morale siano confluiti nella struttura concettuale stessa della medicina.
Metafora giudiziaria
Il metodo clinico è stato spesso paragonato a quello del detective: la diagnosi è una attività investigativa che attraverso l’analisi dei “segni” giunge ad una conclusione individuandone la “causa” del male, cioè il colpevole. “E’ stato individuato il virus colpevole”…””E stato mappato il gene responsabile..”
Che tale metafora sia connaturata alla stessa conoscenza medica è dimostrato dal fatto che il medico esegue “accertamenti” (in inglese investigation!), valuta i risultati delle “prove” diagnostiche, conduce l’”interrogatorio”, emette un “giudizio clinico”, un “verdetto” diagnostico e così via.
Il termine inglese per designare le sperimentazioni cliniche è clinical trial, e trial è appunto il processo giudiziario.
Tutto il contesto nel quale si svolge l’attività del medico ha altresì caratteri indubbiamente carcerari: il medico “monta o smonta di guardia”, “dà le consegne a chi monta di guardia”. Il paziente viene etichettato con un numero, spogliato della propria individualità, fornendogli una divisa (il pigiama), se vuole uscire dall’ospedale deve firmare un “permesso”, viene “dimesso”. Il paziente può essere o no “collaborativo” a seconda che egli obbedisca o no agli “ordini” del medico che “prescrive” accertamenti.
L’aspetto giudiziario della medicina tuttavia non si limita a questi fatti, per così dire, esteriori e organizzativi.
Tutta l’attività del medico si configura come un insieme di “procedure” che hanno il sapore di prescrizioni normative molto simili a quella di una “procedura” giudiziaria, nella quale possono essere individuate schematicamente diverse fasi:
– Fase istruttoria : nella quale vengono raccolti gli indizi (anamnesi, accertamenti ,ecc.)
– Fase di giudizio: nella quale viene formulato il giudizio diagnostico
– Fase di comminazione della pena inflitta per recuperare lo stato di salute, cioè la terapia
Probabilmente l’aspetto giudiziario del ragionamento clinico dipende dal fatto che esso ha origine in relazione ai processi per stregoneria nel corso del Rinascimento, allorquando i medici erano chiamati a sovraintendere alla tortura e alla diagnosi di stregoneria. Una strega poteva infatti essere riconosciuta attraverso alcuni indizi, come ad esempio il naso adunco, una accentuata cifosi e così via. Particolarmente indicative erano poi le verruche, in particolare intorno al naso. La diagnosi di “strega” era orientata a stabilire la presenza del Maligno nel corpo della strega attraversi l’analisi dei segni. Uno dei segni più rilevanti era la presenza del cosiddetto “capezzolo del Diavolo”, in realtà un capezzolo soprannumerario che è presente in circa il 5% della popolazione, al quale sui pensava che il Maligno allattasse nel corso della notte. Per estensione ciò venne applicato a verruche di diverso genere, come ad esempio condilomi e verruche dei genitali esterni. E non erano rari casi di persone che si sottoponevano ad auto-mutilazioni di entità molto rilevante onde evitare di essere ritenute streghe.
Il termine stesso “Malattia” deriva da Malum che significa Diavolo, il Maligno. Ammalato è una trasformazione del termine “ammaliato”, cioè oggetto di “malia” (sortilegio, fattura). Per comprendere la strettissima connessione tra stregoneria e medicina, si deve considerare che il termine di “strega” è il femminile di stregone e lo stregone è appunto un medico. Le streghe non erano, come ci è stato tramandato dalla storiografia e iconografia classiche, povere isteriche o psicotiche in preda a deliri mistici e sessuali, bensì erano membri di una setta segreta di una ordine dionisiaco che si contrapponevano alla religione cristiana. I membri di questa setta possedevano nozioni di medicina, soprattutto in campo di erboristeria, e le streghe appunto (i membri femminili) fungevano da levatrici e da medici del villaggio. Quindi la medicina “ufficiale” maschile e legata alla sfere ecclesiastiche, doveva sbarazzarsi di queste terribili rivali.
Il termine diagnosi venne sviluppato proprio in relazione ai processi stregoneria che erano rivolti alla individuazione del Maligno.
Metafora Militare
La metafora etica si è completata nel corso delle guerre napoleoniche con una nuova metafora: quella militare.
Probabilmente a causa delle ragioni storiche della medicina moderna, nata fondamentalmente per curare i militari feriti nel corso della varie guerre che hanno insanguinato il mondo, la maggior parte delle scoperte sono dovute in modo diretto o indiretto alla guerra. E’ naturale pertanto che la struttura concettuale della medicina sia popolata da concetti di sapore nettamente militare.
La medicina deve “combattere” il male, a volte attraverso “campagne” di informazione o di screening. Deve essere condotta la “lotta” contro il cancro. Gli ospedali sono organizzati in “divisioni”, “reparti” e “servizi”.
Il sistma immunitario è una sistema di “difesa” contro un agente esterno, visto come un “invasore”. Il termine stesso di immunità viene dal latino in-munis, da muni che significa fortificare e munitiones che sono le fortificazioni, i baluardi.
Metafora meccanica
Ogni qualvolta penso a questo argomento, la mente vola al nonno del dott. Giulio Palladino, meccanico di professione. Non l’ho mai conosciuto direttamente, ma Giulio era solito raccontarmi come il nonno usava ricondurre tutto alla meccanica.
Secondo tale metafora l’organismo (o una qualsiasi parte di esso) viene concepito come un “meccanismo” in senso lato.
La malattia in tale ottica è assimilabile ad un “guasto” in un oggetto meccanico: la terapia diviene una “riparazione” di una guasto, la diagnosi la sua “individuazione” e la prognosi la predizione degli effetti del guasto sull’intero organismo.
Non sembra esserci dubbio che il paradigma medico odierno sia improntato alla metafora meccanicistica: si considerino i termini quali meccanismo eziopatogenetico, meccanismo biochimico, meccanismo di azione dei farmaci, ecc.
La metafora meccanica, dunque, istituisce una analogia tra le macchine costruite dall’uomo e l’organismo vivente.
Nonostante il successo euristico, la metafora meccanica in medicina può generare molti problemi.
Tutti i manufatti umani sono basati sulla invarianza del loro modo di agire ad uno stimolo della medesima entità, sulla monotonicità della relazione tra intensità e stimolo ed intensità dell’effetto.
Un organismo vivente, invece, reagisce in modi a volte del tutto opposti allo stesso stimolo in circostanze e tempi diversi. E ciò non è dovuto solo alla mera sommatoria di fattori casuali indipendenti tra loro, ma anche alla intrinseca non linearità di tali sistemi e a fenomeni di memoria che fanno sì che il modo di reagire attuale dipenda dalla intera storia evolutiva del sistema stesso e dallo stato in cui esso si trova al momento in cui viene sottoposto ad una sollecitazione.
Provate a fare una carezza ad una donna: la reazione sarà del tutto differente a seconda delle circostanze, potendo variare dalla indifferenza allo schiaffo. Nulla a che vedere con il comportamento di una automobile.
Questo il nonno di Giulio lo conosceva benissimo. Infatti non riusciva ad applicare questa analogia alla moglie. E qualora lo faceva la considerava “Guasta”.
Le metafora meccanica è utile in medicina e in statistica, ma bisogna conoscerne il significato ed i limiti.
Pensiero metaforico-analogico in odontoiatria
Le metafore etiche sono frequenti in odontoiatria. Stili di vita “non sani” (non “ retti”) quali il fumo di sigaretta sono facilmente etichettati come una delle cause della parodontite. Analogia che ha viziato numerosi studi (quello che in statistica chiamiamo bias, o pregiudizio) e che si è rilevata non fondata.
Stili di vita improntati al piacere (quali gran consumo di dolci) sono stati ritenuti una causa della carie, tale da proibire il consumo di zuccheri nella popolazione. Ma a tutt’oggi non vi sono risultati certi. Lo stesso è accaduto con l’acne vulgaris che per decenni è stato ascritto in parte al consumo di cibi ricchi di lipidi. Ciò condusse alla proibizione a milioni di adolescenti di una serie di alimenti piacevoli su piano organolettico. Oggi è stato ampiamente dimostrato che non c’è correlazione tra dieta e acne vulgaris.
Il concetto di “pulito” e di “sporco” sono profondamente legati il primo alla salute, all’assenza di colpe, mentre il secondo alla malattia, alla colpa. Per analogia una bocca “pulita” è sana, una bocca “sporca” è prona alla malattia. Analogia che in un certo senso trova fondamenti scientifici. Ma spesso è menzognera e comporta danni. Quanto bisogna pulire una bocca perché sia “sana”? Quale è un indicatore di pulizia della bocca? Quante recessioni gengivali e abrasioni da spazzolamento abbiamo visto in pazienti con bocche altrimenti sanissime? Una bocca profumata è indice di igiene e di salute orale? Il dentifricio aggiungendo profumo e sgrassamento migliora la salute orale?
In endodonzia “pulire” l’endodonto è una tappa fondamentale. Ma quanto bisogna pulirlo? E’ meglio soprapulirlo e sottopulirlo? Quali sono i rischi di pulirlo?
La metafora di sporco = malattia, la troviamo bene nei principi branemarkiani per ottenere la osteointegrazione. Branemark sostiene con certezza scientifica che l’impianto va sommerso. La motivazione della sua raccomandazione “scientificia” non è dettata da evidenze, ma da una metafora etica. Se un impianto durante la guarigione sta a contatto con la saliva non si integrerà. Stando sepolto si mantiene pulito e lontano dalla bocca che è sporca. Quanti chirurghi nel mondo per seguire questi dettami eseguivano generosi lembi per ricoprire una vite tappo che si era scoperta?
Sempre nei concetti branemarkiani troviamo un'altra metafora etica. Il carico immediato è da evitare, pena la non integrazione. Anche questo concetto era non validato da evidenze. Il paziente prima di avere i denti deve soffrire, si trattava di una metafora etica. Espiazione per la colpa di aver perso i denti.
Anche i concetti di impianti “dritti”, paralleli, simmetrici, ha una certa analogia etica oltre che meccanica come vedremo. Le cose “dritte”, regolari, “perpendicolari” (al piano occlusale), parallele tra di loro, funzionano meglio. Perché hanno in sé il concetto di regolarità.
Sicuramente la metafora meccanica è quella che troviamo più di frequente in odontoiatria.
L’utilizzo di articolatori è l’applicazione culmine di queste metafore. L’articolatore è la conduzione a concetti familiari di una sistema non familiare.
- Condili sferici nell’articolaore versus condili a geometria complessa negli organismi viventi
- Movimenti condilari predefiniti nella articolatore versus movimenti impredicibili
- Assenza di resilienza nelle strutture dell’articolate versus resilienza delle componenti muscolari, articolari, dentali
- Superfici fisse versus sistemi in evoluzione (riassorbimento e apposizione ossea, rimodellamento muscolare, usura dentali, movimenti dentali ecc.)
- Assenza di muscoli versus vettori muscolari impredicibili
- Controllo meccanico versus controllo neurologico
- Sistema lineare versus sistema non lineare
- Assenza di memoria versus presenza di memoria
Se a ciò aggiungiamo che per arrivare ad un articolatore bisogna rilevare le impronte e quindi colare i modelli, vanno aggiunti gli errori di misurazione che inevitabilmente questi materiali arrecheranno.
Se poi consideriamo che dall’articolare verrà prodotta una protesi mobile, dobbiamo considerare la contrazione della resina, la resilienza mucosa una volta adattata la protesi nella bocca del paziente, ecc.
Infatti l’unica volta che uno studioso ha messo a confronto il successo terapeutico in protesi con o senza l’ausilio di articolari (cioè con l’occhiometro ed il buon senso) il risultati sono stati sovrappobinibili.
Come ha detto Frank Spear: in protesi non ci vuole un aricolare semi-regolabile, ma una mente completamente regolabile!
Spesso in odontoiatria per analogia cerchiamo di applicare le leggi della meccaninca. Ad esempio in implantologia per molti anni erano assolutamente sconsigliati gli impianti con rapporto corona-radice sfavorevole. L’evidenza ci ha mostrato una uguale sopravvivenza. A tal punto che venivano eseguiti innesti o rigenerazioni per migliorare questo rapporto.
Mettere gli impianti “dritti” era il modo corretto di mettere gli impianti. Ma dritti rispetto a cosa? Rispetto ai vettori muscolari che non conosciamo? O rispetto ad un piano arbitrario? O rispetto a alla forza gravitazionale?
Gli impianti cosiddetti “storti” (inclinati) hanno la stessa percentuale di successo degli impianti cosiddetti dritti.
In ortodonzia applichiamo gli stessi criteri. I denti vanno “raddrizzati”, messi in asse, l’arcata va “riconformata”. Tutti concetti meccanici. La metafora etica e meccanica si sovrappongono. Mettere dritti i denti è così etico e meccanicamente valido da dimenticarci gli effetti collaterali della terapia necessaria per mettere dritti i denti. Un 30% dei pazienti ortodontici va incontro ad una serie di effetti collaterali, che altrimenti non avrebbero avuto:
- Recessioni
- Rizalisi
- Demineralizzazioni
- Carie
- Necrosi
- RECIDIVA
Ciò a fronte di un ipotetico beneficio scaturito da una metafora “dritto = sano”
Siamo sicuri che chi hai i denti “storti” mastichi peggio?
Siamo sicuri che un overjet di 6 mm beneficia del trattamento ortodontico? Ed un overbite di 5mm?
Tale è la metafora meccanica, che è frequente trovare nei libri di testo affermazioni che una della cause dell’artrosi è il sovraccarico meccanico. Perché in meccanica un giunto viene danneggiato dal sovraccarico meccanico. Se fosse così in biologia dovremmo osservare una maggiore prevalenza di artrosi dell’anca nei pazienti obesi…e non è così (la prevalenza di artrosi all’anca è la stessa nei pazienti magri e nei pazienti obesi). Se fosse così dovremmo trovare maggiore prevalenza di artrosi dell’articolazione temporo-mandibolare nei pazienti con bruxismo (e anzi troviamo una minore prevalenza di artrosi nei pazienti bruxisti).
Ciò perché a noi piace condurre il non familiare a familiare. Quindi dobbiamo ridurre la geometria complessa di una canale radicolare ad un geometria semplice, regolare e familiare: un cono! Uno spazio stretto non è pulibile, ci vuole spazio per pulire e si deve allargare. Una cosa pulita per essere pulita deve odorare (quanti dentisti hanno annusato e annusano l’ovatta!).
Se seguiamo queste regole abbiamo il successo. E quando interviene l’insuccesso? Quando non seguiamo queste regole “etiche” e “igieniche”. Le regole sono certe! L’insuccesso è perché non abbiamo pulito bene. Ma quanto dobbiamo pulire? Quali sono i rischi di pulire?
Questa mefatora endodontica non è supportata da evidenze. Per trasformare una metafora in un modello scientifico c’è necessità di evidenza, prove scientifiche. Anzi a distanza di anni vediamo più denti con “dubbia” pulizia dell’endodonto che con “accurata” pulizia dell’endodonto. Che la pulizia possa causare problemi? Che il fallimento è della metafora e non della non aderenza ai principi della metafora?
Per Gentile concessione del dott. Giulio Palladino riporto una lettera del cavalier Raffaele, suo nonno